Di Annalisa Nicastro

I poeti cantano a volte, non solo nelle loro creazioni poetiche con versi sapientemente intagliati secondo un ritmo unico, ma anche, come nel caso di Elio Pecora, cantano vere e proprie canzoni. La sua voce da tenore, classe 1936, ha intonato il capolavoro della canzone napoletana “Era de maggio” e ha allietato un fuori programma voluto fortemente da Arnoldo Mosca Mondadori, Presidente della “Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti”. In questa occasione, il nostro poeta e scrittore si è esibito davanti a una platea gremita accorsa all’Accademia di Belle Arti per assistere alla consegna del “Premio Speciale Montale Fuori di Casa”, conferito a questo autore di racconti, romanzi, saggi critici, testi per il teatro, poesie per bambini e collaboratore nella critica letteraria di quotidiani, settimanali, riviste e programmi Rai.

L’Accademia di Belle Arti di Roma apre le porte alla poesia, come ricordano le parole di Cecilia Casorati, Direttrice dell’Accademia, che sottolineano una costante attenzione all’interdisciplinarità dei linguaggi per leggere la cultura in maniera più ampia, oltre lo specialismo che attanaglia i nostri giorni. Dopo i saluti di Cecilia Casorati, Adriana Beverini, Presidente del “Premio Montale Fuori di Casa”, e la Vice Presidente Barbara Sussi hanno svelato la motivazione del Premio: “Mezzo secolo di versi consacrano ormai Elio Pecora come un ‘classico’, non solo per l’attenzione che ha sempre manifestato per la letteratura, la tragedia, la mitologia e la religione greca, ma perché è un autore dal quale sarà impossibile prescindere per chi vorrà conoscere in un prossimo futuro la grande Poesia del secondo Novecento e dei primi anni del XXI secolo”.

Impavida, sfrontata, negata o arresa ai canoni, attende al varco gli ostensori e illude chi si ammanta. Né manca di sconoscersi là dove convocata.

L’essenza della poesia è tutta in questi versi di Pecora, che ci ricordano quanto essa sia una forma di esistenza, di stare al mondo in un certo modo.
È proprio vero che l’arte ci insegna il futuro, come sottolineano le parole emozionate di Mario Pieroni, Gallerista e Presidente di Zerynthia, che ha partecipato alla premiazione. Tutti gli artisti riescono a catturare le paure e le speranze del loro tempo, spesso in anticipo rispetto agli altri, e per questo prefigurano il futuro, quello che sarà e che ancora molti non vedono. La parola ritrovata nella sua nudità: è così che Pecora ci insegna a essere semplicemente ciò che siamo. Ed è un insegnamento imprescindibile che viene dal mondo della grande Poesia.

Sono state parole d’amore quelle che Pecora ha rivolto alla Poesia durante la premiazione: “La poesia insegna le emozioni, i sentimenti. La parola è viva e la poesia non è affatto morta, anzi salverà il mondo, perché la poesia è pace”. I suoi sono sempre stati versi di resistenza alle difficoltà della vita, ecco perché il suo eroe “è oggi quello che cerca la sua verità e ci si confronta calandosi nell’orrore dell’esistenza”. Ma non solo. Come ha scritto il critico Daniela Marcheschi nell’introduzione all’ultimo libro di Elio Pecora, “L’avventura di restare” (Crocetti editore 2023), nel quale sono raccolte le poesie composte dal 1970 al 2020, si riconosce a Elio Pecora “la lucidità nel guardare all’esistenza così com’è, con le sue contraddizioni, con il suo vuoto, il suo portato di male, dolore, colpa, ma anche di allegria e di gioco, di festa e di lutto. Nei suoi versi, anche in quelli più disincantati nei confronti dell’orrore dell’esistenza, troviamo sempre una gioia delle cose e dell’esser vivi, di poter dunque ricordare di godere, nonostante le sofferenze, della bellezza di poterle dare un nome”.
Pecora è un poeta classico con una vita trascorsa tra i libri, ha sempre manifestato una grande ammirazione per la letteratura, la tragedia, la mitologia e la religione greca, e si è sempre circondato di amici letterati fra i quali Juan Rodolfo Wilcock, Elsa Morante, Alberto Moravia, Aldo Palazzeschi, Sandro Penna, Dario Bellezza, Amelia Rosselli, Elsa De Giorgi, Francesca Sanvitale, Maria Luisa Spaziani, tutti quanti amavano dire il loro motto: “Il primo verso me lo dà Dio, il resto lo metto io”.

Parte tutto da lì, da una parola e poi tutto diventa musica.

Era de maggio, io no, nun mme ne scordo
Na canzone cantávamo a doje voce
Cchiù tiempo passa, e cchiù mme n’arricordo
Fresca era ll’aria e la canzona doce

E diceva, “Core, core
Core mio, luntano vaje
Tu mme lasse, io conto ll’ore
Chisà quanno turnarraje”
Rispunnev’io, “Turnarraggio
Quanno tornano li rrose
Si stu sciore torna a maggio
Pure a maggio io stóngo ccá

traduzione di Oliver Dorostkar

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