Ascolta qui l’intervista:

Pierre Magristretti : Il mio campo di ricerca, sperimentale, è il funzionamento del metabolismo cerebrale, cioè come il cervello produce e consuma l’energia e come delle disfunzioni di questo processo possano portare a malattie psichiatriche e in particolare alla malattia di Alzheimer, su cui sto lavorando molto in questo momento. Tra l’altro ho creato uno spin off del mio laboratorio che adesso è a Ginevra, appunto, sviluppando delle molecole che agiscono su quei meccanismi che abbiamo scoperto negli anni ’90 e 2000, per potenziare il cervello a resistere meglio alla neurodegenerazione.
Il mio interesse per la mente appunto nasce sin dall’inizio, mi sono interessato a questo e col tempo ho coltivato relazioni, amicizie, discorsi soprattutto con il campo della psicanalisi. Ho scritto due libri con un mio collega psichiatra e psiacanalista svizzero, François Ansermet e abbiamo scritto due libri, uno è “A ciascuno il suo cervello” e l’altro “Gli enigmi del piacere”, dove abbiamo tentato di fare una correlazione, non rigida, più intellettuale, tra neuroscienza e psicanalisi per cercare di capire quali erano gli aspetti descritti dalla psicanalisi freudiana e le neuroscienze moderne che parlano anche esse di tracce, traccia sinattica o traccia psicologica, secondo Freud. Poi appunto nel campo, nell’area di quest’interesse che non è nel mio campo sperimentale di tutti i giorni, come dico io sono un meccanico del cervello, studio gli aspetti molecolari cellulari – ho quest’altro lato che mi diverte, mi stimola, e quindi mi sono interessato appunto a quest’aspetto dell’esperienza estetica, della neurobiologia dell’esperienza estetica. Diciamo che si ricollega ai lavori della biologia delle emozioni, di cui il precursore è stato William James, questo psicologo americano di fine dell’Ottocento primi del Novecento, fratello di Henry James lo scrittore. William James ha fatto una prima teoria delle emozioni ed è una teoria molto interessante che è ancora assolutamente valida oggi, anche se poi come per tutte le teorie ci sono stati i pro e i contro. Ma l’idea è questa, che una percezione, prendiamo a esempio la paura che è la più semplice: uno vede un cane che gli viene addosso abbaiando e ha paura – la percezione per sé, cioé il processo sensoriale è neutro dal punto di vista emotivo, quello che lo rende effettiva, che da la connotazione di emozione è la risposta del corpo, la risposta somatica ossia l’aumento del ritmo cardiaco, la dilatazione delle pupille, tutta una serie di risposte fisiche che danno la colorazione emotiva alla percezione sensoriale che in sé è neutra. Questo nel caso estremo della paura ma vado anche un po’ più avanti, più di recente un mio amico Antonio Damasio, ha scritto un libro chiave della sua teoria, “L’errore di Des Cartes” ed è un libro molto interessante in cui lui essenzialmente riprende le teorie di James e le rimette, nella percezione ma soprattutto nel processo mentale di immaginare qualcosa per prendere una decisione e quindi arrivare a un’azione. Un esempio anche qui semplicissimo: uno deve annunciare una cattiva notizia a qualcuno e si domanda, cosa faccio? Lo chiamo a telefono, gli mando una email, mando un sms, vado a trovarlo e alla fine uno decide quale azione intraprendere basandosi sull’anticipazione del sentimento fisico che uno avrà, se ha ad esempio un nodo alla pancia come reazione spiacevole. Lui ha introdotto questa idea dei marcatori somatici come determinanti della presa di decisioni, cioè uno decide di fare una certa cosa, uno pensa di essere razionale ma in realtà c’è una componente emotiva che è resa proprio “embodied” – incarnata – una risposta somatica, anticipando quello che succederà.

Alex Bolis : Quindi un ponte tra emozioni e immagini mentali in qualche modo?

P.M. : Esattamente, le immagini mentali che poi determinano anche una decisione, un’azione. Allora tutto ciò cosa ha a che vedere con l’esperienza estetica? L’idea è che uno appunto guarda un quadro, che ad alcuni da un sentimento di benessere, tra l’altro ognuno è unico in questo tipo di interazione con l’esperienza estetica, o come vive la sua esperienza estetica, – ad un altro invece provoca angoscia. Ma c’è anche l’idea che il quadro che genera quest’esperienza in quello che osserva, contribuisce alla costruzione stessa del quadro o diciamo, dell’oggetto estetico, cioè avviene un dialogo.

Dora Stiefelmeier : L’inconscio di chi guarda entra sotterraneamente nell’inconscio dell’artista che l’ ha fatto e questo può essere esplosivo.

P.M. : Esattamente, cioè è l’inconscio dell’osservatore idealmente incontra l’inconscio di quello che ha prodotto l’oggetto.

D.S. : Una sindrome di Stendhal non avviene mai quando uno vede un bel tramonto, anche se è struggente però non produce la stessa cosa. Proprio per quello penso che ci sia un meccanismo diverso. Vorrei anche sapere se al negativo funziona uguale, lei conoscerà benissimo l’Azionismo Viennese dove gli artisti hanno creato delle azioni di estrema violenza e crudeltà per creare una specie di Reaktion, di salto emozionale catartico. Si può dire che è una sindrome di Stendhal al negativo o sono due universi diversi?

P.M. : Si certo. Per me l’esempio migliore è al limite un quadro di Rothko perché è molto neutro, uno ci vede quello che vuole. L’ idea è che l’emozione dipende dallo stato somatico in cui uno si trova. Visto che sono neurobiologo mi è interessato sapere quali sono i meccanismi biologici di questo e si cominciano a conoscere nel senso che, per quello che è delle percezioni, le modalità sensoriali, olfattive, gustative, visive e uditive. Soprattutto sono interessanti le gustative e olfattive, convergono verso una regione del cervello che si chiama nucleo amigdaloidea (oppure l’amigdala) e tra l’altro parlando di olfatto ed esperienza gustativa – naturalmente si richiama la “Madeleine” di Proust che appunto con questa esperienza olfatto-gustativa ha prodotto 1500 pagine di Recherche, nel senso che ha riattivato tutta una serie di emozioni, ecco di emozioni che però sono generate nel corpo. Cioè un cervello senza corpo non ha mai emozioni. Questa via neuronale va appunto dall’epitelio olfattivo-gustativo all’amigdala, oppure anche dal sistemo visivo (però quello è addizionale). L’amigdala cosa fa? Proietta da lì verso il sistema neurovegetativo e il sistema neuroendocrino, l’ipotalamo ed è quindi un sistema effettore che modifica lo stato del corpo. Il sistema neurovegetativo ad esempio aumenta il ritmo cardiaco, aumenta la liberazione di certi ormoni e così via, quindi il corpo viene modificato proprio fisicamente dalla percezione in cui l’amigdala gioca il ruolo di traduzione. Poi sono stati messi in evidenza più recentemente dei pathway, delle vie neuronali che fanno una specie di monitoraggio permanente dello stato del corpo, nelle viscere in particolare, e lo riportano in zone del cervello. Una in particolare si chiama l’insula, che proietta sulle zone motorie effettrici e che quindi possono anche produrre un’azione. C’è un sistema di traduzione della percezione in modificazione dello stato del corpo, un sistema che monitora questo stato del corpo o che informa delle zone cerebrali. Intorno a questo ovviamente c’è la questione dell’inconscio e questo l’ho particolarmente sviluppato nei due libri sovracitati. L’idea è che la percezione lascia una traccia a livello sinattico, ci ricordiamo di qualcosa perché le sinapsi sono modificate e sono più efficienti. C’è non solo un aspetto neurologico cioè cerebrale ma anche un aspetto del corpo ed è per quello che possiamo attivare delle percezioni ad esempio una musica? Ci ricorda un sacco di cose, addirittura forse anche partendo dal corpo si possono riattivare alcune rappresentazioni. Comunque l’idea è che nell’esperienza estetica c’è un dialogo permanente tra cervello e corpo, e cioè per avere un’esperienza estetica ci vuole un corpo che risponda alla percezione e che ci faccia proprio “sentire” fisicamente un’emozione. Questo dialogo tra l’autore dell’opera d’arte e l’osservatore secondo me è importante, son d’accordo con lei che ci sono due inconsci che si incontrano.

Mario Pieroni : C’ è un equivoco sulla realtà artistica. Cioè dire che un lavoro d’arte non ti piace e ti piace, che significa? Che tu non conosci che cosa l’artista vuole esprimere attraverso il lavoro che sta facendo. Quindi è un equivoco enorme nell’arte, in quanto vengono promosse opere che non valgono assolutamente niente, perché? Appunto qui c’è il gioco della finanza, di altre operazioni, di business perché fa proprio leva sul fatto che non conoscono l’opera dell’artista. L’artista non è né buono né cattivo, l’artista è al di fuori di queste categorie quindi devi guardare e conoscere l’opera, se non conosci subisci. E’ interessante oggi parlare di questo – perché uno viene praticamente usato secondo il piacere estetico e invece l’opera d’arte la devi conoscere, la devi approfondire, sapere…e come diceva sempre Emilio Prini, un nostro grande artista che non c’è più, “lasciamo qualcosa all’archeologo, tra mille anni si capirà quello che non avevamo capito oggi”.

P.M. : Si, si, allo stesso tempo dire l’arte piace o non piace è ok, è una short cut no? Però uno potrebbe fare un esercizio e scrivere cosa mi suscita un po’ anche nel corpo questa arte, questa mi crea non so un’angoscia tremenda e non capisco perché e allora la compro perché mi piace essere angosciato ogni tanto oppure no, non la compro, oppure è un’armonia di colori non lo so ma c’è chiaramente questo impatto sensoriale e somatico nell’osservatore che nel mondo ideale si collega a quello che ha prodotto l’arte.

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