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[…] Qui c’è un altro tipo di nutrimento, dobbiamo capire che tutta l’arte è nutrimento dell’arte. Essere a Roma è una cosa terribile, qui uno si ingrassa – come dire l’arte funzione su un nutrimento sottile, sottile, sottile, … e chi lo sa tenere vola […]

[…] Mi ricordo una cosa di Mario Merz all’accademia di Brera bellissima, allora lui stava disegnando alla lavagna in un modo mirabile e c’erano tanti fotografi in questa occasione. Quando ha smesso di disegnare i fotografi gli hanno detto “perché non si mette vicino alla lavagna che le facciamo una foto? Mario è impazzito… le foto si fanno quando non ci si accorge, quando siamo sovrappensiero […]

[…] Le tazze sono un po’ un omaggio alla mia formazione fiorentina. Il Beato Angelico ha sempre tenuto su questo tema una bidimensione. Però qui c’è anche un aspetto di profondità. Le tazze sono forme che hanno a che fare con la nostra parte emozionale, tutti i contenitori, tazze, bottiglie, vasi hanno a che fare con la nostra parte emozionale quindi nascono da queste riflessioni; poi stanno tra loro in un modo come noi si sta tra noi, in una conversazione, una relazione intenzionale che esprime un infinito, con l’oro al centro. In questa parete ho dovuto comprimere un po’ ma questa compressione ha un senso e si può percorrere come un 8 e il centro di questo percorso è l’oro che è anche come il respiro. Si respira, si porta dentro e si manda fuori, quindi questo aspetto è l’aspetto della vitalità, e il suo punto più alto è quindi la tazza centrale, è l’oro. Negli altri allestimenti, quando facemmo la mostra con Mario e Dora dell’86 occupammo 3 pareti e l’oro aveva una sua parete da solo. C’erano questi 4 colori bianco nero e verde e incarnato su una parete mentre giallo blu e rosso che, secondo Goethe, sono splendori, erano su un’altra parete. Quindi c’era un’altra lettura, c’era meno compressione e più spazialità. Però è interessante anche quando il lavoro ha una flessibilità e si può offrire in modi differenti. Una cosa che ho sentito allestendo questa mattina è questo aspetto di classicità che è della nostra arte italiana ed europea ed è grandioso. Una parete così, a parte i condizionatori, che è un omaggio al contemporaneo è come entrare in una cappella, è come entrare in un luogo della nostra tradizione. Un tema che io sento molto è quello di vedersi a vedere. Io sono qui e mi vedo mentre che vedo. Questo ci da la possibilità di essere nel momento, fuori dall’immaginazione perché normalmente noi non vediamo le cose ma vediamo pensieri che abbiamo pensato in noi e che abbiamo nella nostra esperienza relativa a questi momenti. E quindi nascono una serie di pensieri che non hanno niente a che fare con l’opera, hanno a che fare con una meccanicità, sono meccanici. Ogni volta che si vede un’opera si devono fare tutte le connessioni. In verità questo non ci permette di avere un rapporto vero con l’opera. La cosa interessante è quando noi ci mettiamo di fronte all’opera senza mettere in moto questi meccanismi, cercando di svuotarci e fare un’esperienza e quindi di vedere. Un matematico russo che io amo molto, all’inizio del 900 ha scritto un libro sulla quarta dimensione che dice io sto di fronte a quest’opera, c’è una direzione che va da me all’opera, e poi c’è una direzione che viene dall’opera a me e poi c’è la terza forza che è l’elemento più forte ed è la circostanza. Il fatto che noi siamo qui vuol dire che siamo in qualche modo nel momento… mentre la mente ci porta sempre a fare connessioni che ci tolgono dal momento, come se si va a trovare un amico avendo dei pensieri, non si va a trovare un amico si va a portare i pensieri all’amico, se invece si va a trovare l’amico senza pensieri, quello che nasce nell’incontro con l’amico diventa quello che deve nascere. La verità è quello che nasce nel momento che ha valore, che ci nutre […]

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