Di Annalisa Nicastro

“Ho sognato che mi erano caduti tutti i denti ma la mia lingua sopravviveva per raccontare la storia. Perché io sono un distillatore di poesia.
Sono una banca del canto. Sono una pianola in un casinò abbandonato sulla riva del mare in una densa nebbia che sta suonando ancora.”
Lawrence Ferlinghetti

Mi chiamano poeta, ma sono soltanto qualcuno con gli occhi spalancati sul sogno americano che inciampa tra luci di neon e voci solitarie. A New York, inizio il mio viaggio, tra risate e vertigini, mi perdo nel turbinio di una nazione che ride mentre scivola in basso.

Guardo e non posso chiudere gli occhi. Mi chiamano visionario, ma non vedo altro che ciò che è lì, sotto il cielo aperto: un’America nuda, senza maschere, che grida per essere ascoltata.
Sono cresciuto tra strade dure e grigie e un giorno, leggendo Whitman, ho trovato una voce che parlava di libertà come se fosse aria.
Così sono diventato poeta, non per scelta, ma per destino, per dare suono e forma a un’America diversa, a un sogno che non fosse affogato nel rumore delle monete. Coney Island mi ha insegnato che la vita è un carnevale, una fiera di illusioni, luci e specchi deformanti.
Ma io ho visto oltre le risate, oltre la facciata scintillante. Ho visto persone che vagano nella folla, senza uno scopo, perse nella propria solitudine. La mia poesia è nata lì, nei parchi giochi dell’America, nelle strade buie e nei bar fumosi, tra volti dimenticati e anime perse.
Mi sono messo a scrivere per ricordare a me stesso e agli altri che non siamo macchine, ma esseri umani fatti di carne, sogni e ossa fragili. Poi è arrivata la guerra, e con essa, l’orrore. Ho visto l’odio, il caos, la follia delle bombe. E ho giurato a me stesso: mai più.
Non c’è gloria nella morte, non c’è giustizia nel sangue versato. E così ho scritto per la pace, perché credevo, e credo ancora, che le parole possano cambiare il mondo, che un verso possa fermare un proiettile.
E poi San Francisco, il rifugio dei senza patria, dove apro una libreria di sogni proibiti, City Lights, una lanterna per le anime perdute che cercano riparo dalle ombre.
Conservo versi nei miei scaffali, parole taglienti come coltelli contro il potere, e un’insegna luminosa contro ogni guerra. Sono un pacifista, sì.
Non sono io a essere cieco, è il mondo, che ha trasformato la violenza in abitudine. La poesia è il mio strumento, una protesta silenziosa, per ricordare che la guerra non è mai la risposta e l’umanità può ancora scegliere di non cadere in ginocchio dinanzi alla distruzione.
I miei compagni sono i poeti, i ribelli, i pazzi, quelli che non si inchinano all’autorità.

Abbiamo sognato un’America diversa, abbiamo gridato contro i cannoni con versi d’amore, abbiamo cercato di svegliare il mondo con parole come fuochi d’artificio nella notte.
Ma cosa rimane oggi?

Se non questa carta, queste parole, che svaniscono come onde sulla costa.
Io sono solo qualcuno che vede, un poeta, un testimone.
E se un giorno qualcuno leggerà ancora le mie parole scritte nel vento, sappia che dietro c’era un cuore, uno sguardo che non ha mai smesso di credere nel potere della pace, nella voce del popolo, nel sogno di una vita senza catene. E ora, qui, nella luce calante, vedo un’America diversa da quella che ho sognato. Ma non mi pento delle mie lotte, delle mie parole ribelli.
La mia voce è ancora qui, nel fruscio delle pagine di un libro dimenticato, nel soffio leggero del vento di San Francisco. Se dovessi lasciare un ultimo messaggio, direi soltanto:non smettete mai di sognare.
Non spegnete mai quella fiamma che arde dentro, quella che vi spinge a cercare la verità tra le pieghe del mondo. Perché anche quando tutto sembra perduto, è lì che nasce la poesia, è lì che vive la libertà.

Ferlinghetti chiude il libro, un sorriso leggero sulle labbra, come chi sa che le sue parole, forse, il mondo lo hanno cambiato un bel po’.
E così, Ferlinghetti svanisce tra le sue parole, lasciando una traccia di ribellione e di speranza che resta viva tra le pagine e le strade, come un’eco di ciò che è stato e di ciò che può ancora essere.

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